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LA VITA CONTADINA


La storia della società, degli usi, dei costumi e delle usanze materane sono il retaggio del passato contadino della sua gente; come tutto il meridione d'Italia anche Matera ha da sempre legato la sua economia al lavoro agricolo oltre che pastorale. Nel periodo borbonico il meridione era diviso in latifondi appartenenti a grossi proprietari terrieri che li amministravano senza introdurre le necessarie innovazioni tecnologiche capaci di aumentarne la produttività e di diminuire la fatica e il lavoro dei contadini e dei braccianti agricoli. Questa cultura lassista, legata alla semplice speranza che la terra dovesse essere così magnanima e generosa da "donare" i frutti a chi l'aveva lavorata tutto l'anno, si è conservata anche dopo l'unità d'Italia e oltre.
Per quanto riguarda ad esempio le macchine agricole e i sistemi di lavorazione dei campi, l'arretratezza della cultura contadina meridionale è incontrovertibilmente sottolineata dall'uso sistematico di attrezzature ormai obsolete altrove; quando ormai la forza motrice umana ed animale era desueta nel Nord Italia, continuava ad essere regolarmente utilizzata nel meridione.
In questo contesto la riproduzione di modellini in scala delle antiche attrezzature agricole utilizzate sostanzialmente tra l' '800 e il '900 a Matera e dintorni vuole da un lato ricordare, rinverdire e mostrare le macchine e gli arnesi utilizzati dai nostri nonni e bisnonni e dall'altro, indurre a riflettere sui sacrifici, sulla fatica e sulle difficoltà che i nostri predecessori dovevano ogni giorno affrontare per poter vivere del frutto del loro lavoro.

 

LE ATTREZZATURE AGRICOLE


Tra l' '800 e il '900 le attività tipiche del lavoro contadino erano svolte con mezzi di legno, di ferro o di entrambi i materiali trainati dagli animali coadiuvati dall'uomo. I mezzi totalmente fatti di legno o con piccole parti di ferro erano tipici dell' '800 mentre nel '900 furono via via sostituiti da attrezzi completamente metallici. Aratri, erpici, rulli dapprima costruiti in proprio secondo principi di funzionamento empirici tramandati dai genitori e largamente diffusi furono poi acquistati da ditte italiane ed estere specializzate nel campo della meccanica agricola o riprodotti dagli artigiani e dai fabbri locali. Macchine agricole prima pesanti, poco funzionali e soggette ad un logorio continuo vennero sostituite da macchine più leggere, efficaci e maneggevoli; ad esempio i caratteristici "aratri a chiodo", capaci di produrre dei solchi nel terreno di non più di 10 cm, furono sostituiti dai più moderni aratri con vomere o con voltorecchi, pensati per produrre solchi più profondi (20-30 cm se tirati da animali; 40-50 cm se tirati dal trattore) e regolari e per rivoltare meglio la terra.
I legni più usati per realizzare attrezzature agricole erano quelli duri come la quercia, il mandorlo, il ciliegio, il pero, il noce e l'olivo capaci di sopportare gli sforzi tipici a cui erano soggetti gli aratri e gli erpici; legni come il pioppo e l'abete invece erano utilizzati per costruire i letti dei veicoli e le guide. Per quanto riguarda i metalli più usati bisogna dire che, anche se le attrezzature agricole prodotte dalle grosse aziende specializzate erano fatte di ghisa, acciaio, acciaio cromato, acciaio vanadio, ferro malleabile, a livello locale i fabbri le realizzavano solo in ferro malleabile o per i vomeri degli aratri, in acciaio temprato.
Gli attrezzi agricoli più utili per lavorare la terra erano sicuramente gli aratri; a seconda del tipo di terreno da arare si utilizzavano aratri diversi tirati da uno o più muli. Per terreni molto inclinati ad esempio, si adoperavano gli aratri voltorecchi che permettevano, grazie ad un meccanismo che consentiva il ribaltamento del vomere da sinistra a destra, di rivoltare la terra sempre verso valle semplificando e rendendo meno faticoso il lavoro. Alcuni aratri permettevano la regolazione del vomere oppure tramite meccanismi più complessi, lo spostamento del vomere a sinistra o a destra rispetto alla traccia del solco.

Gli aratri più semplici, come già detto, erano frutto dell’artigianato locale mentre quelli con più meccanismi venivano acquistati dalle grosse case produttrici di materiale agricolo che erano soprattutto italiane (Gardini, Ridolfi, Tommaselli), belghe (Mélotte), tedesche (Sack, Eckert, Eberhadt, Flöther) e americane. Considerata la diffusa analfabetizzazione dell’epoca e la non semplice pronuncia dei termini stranieri, i nomi di alcuni aratri esteri furono tradotti in dialetto; per questo ad esempio, l’aratro modello Brabant (brabantino in italiano) prodotto dall’azienda Mélotte di Gembloux (Belgio) fu chiamato “B’ RBOND” (birbante) a Matera e Melotto nella vicina Laterza (TA) mentre l’aratro costruito dalla ditta tedesca Flöther per l’Italia Meridionale diventò semplicemente “l’ARET TEDASK” cioè l’aratro tedesco.

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